La prima notte di Natale

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Quella sera, forse primaverile, era una notte calma. Così, all’improvviso, quella calma fu rotta dall’apparizione di un angelo a dei semplici pastori e la “gloria del Signore risplendette intorno a loro”. I pastori colti di sorpresa e impauriti dallo spettacolo e dalla meraviglia che avevano davanti, non avrebbero mai potuto immaginare di essere i primi a poter salutare il Figlio di Dio fatto carne.  La svolta dei secoli, la buona notizia per tutte le genti era stata annunciata. E venne annunciata con semplici segni tra meraviglia e splendore.
Quell’angelo, immerso nella gloria del Signore, disse loro: «Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà».
E quella “grande gioia” non poteva essere rappresentata dallo splendore di un singolo messaggero, così “a un tratto vi fu con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva «Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch’egli gradisce!»”. Era giunto il momento per il Signore di adempiere a tutte le Sue promesse! Quando la meraviglia scomparve facendo tornare il cielo terso e calmo, l’angelo e la moltitudine dell’esercito celeste tornarono al cielo, i pastori non persero tempo, lasciarono tutto e, di corsa, andarono a Betlemme.
Di tutta quella gloria rimase loro solo un segno da cercare: “un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”. Quando lo trovarono, capirono che tutto quello che avevano vissuto, poco prima. era vero. «E’ nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore».
Luca ci racconta che Maria e Giuseppe collocarono Gesù in una mangiatoia, ma non si trattava di un “segno”. Per questi nuovi genitori, quella mangiatoia-culla era un rimedio, una necessità. Per quel bambino col nome Gesù, infatti, “non c’era posto per loro nell’albergo” (2:7). Ma quel rimedio last minute, quella mangiatoia povera e scarna, era il segno “divino” per quei pastori.
Di quella gloria splendente rimase una sola, semplice, particolarità: vedere un bambino in una mangiatoia!
Quella mangiatoia, oggi, decora le nostre case, i nostri prati e le nostre cartoline di Natale. Per molti è il ricordo del significato della “festa”, e per alcuni si tratta di tradizioni, per altri, invece, è un segno divino. Ancora oggi. Ancora valido.
Possiamo partecipare anche noi alla gioia di quei pastori. La buona notizia dell’Angelo: “perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà” è ancora alla nostra portata. Ancora oggi possiamo seguire quel segno e riconoscere in quella mangiatoia un segno divino per godere di una “grande gioia”
Da una scatola di pietra dove sarebbe stato posto il cibo per gli ovini e altri animali ci viene concessa l’opportunità di poter intraprendere una nuova vita. Di poter cominciare, davvero, a “non temere” perché c’è chi si prende cura di noi.
La nascita di Gesù a Betlemme è più che una casualità legata ad un censimento o il privilegio ancestrale del Re che si sarebbe seduto sul trono di Davide. Nella storia di Natale, scopriamo che il “presepe” si trova all’ombra della croce.
In quella prima notte di Natale, le vite di quei pastori furono cambiate per sempre e, come loro, anche tu, puoi dare valore a quel segno (un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia) per lasciare questo mondo di orpelli e lucine colorate.
Non c’è niente che possiamo fare per orientare il nostro cammino verso Dio. Neanche a Natale. La nuova vita non si trova in quel che noi possiamo fare per Dio. Non si tratta di essere buoni o di fare cose “buone”. Solo in ciò che Gesù ha fatto per noi c’è la promessa della vita eterna. E Gesù, per te, è nato in una mangiatoia ed è morto su una croce.
Era una notte di primavera, quella del primo Natale. Quei pastori colsero l’opportunità di cambiare la loro vita. Riconobbero l’intervento di Dio: lasciarono le loro greggi, furono riscattati dalla loro condizione, ai margini della società di allora, e fecero spazio ad una “grande gioia”.
E tu che aspetti?
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